Livorno non è mai stata una Diocesi ad alto tasso vocazionale, la media dei seminaristi in teologia (dopo il diploma) si è aggirato intorno a tre. Si diceva che la diocesi è piccola con un territorio ristretto quasi tutto concentrato nella città. A ondate diverse ci sono venute incontro diocesi vicine o più lontane come il veneto. In alcuni casi c’è stato un aiuto temporaneo – a Bergamo c’è una associazione di preti preparati a questo servizio – in altri casi c’è stata una stabilizzazione non sempre facilmente accolta. Qualche altro prete è arrivato a Livorno passando dalla esperienza religiosa vissuta con qualche disagio, comunque è stato un inserimento lento, con una osmosi naturale.
La mancanza cronica di preti ha fatto riflettere a lungo: Perché? Se la “storia” ha un significato abbiamo il dovere di leggerla come un messaggio, se vogliamo una provocazione, che ci viene dall’alto. Livorno non è mai stato un territorio “normale” e non omologabile col resto della Toscana: la sua storia, la politica, il carattere anarchico dei cittadini, il libeccio e il salmastro … entrare dentro questo tessuto può sembrare facile, perché il livornese è generoso, ma non lo è del tutto perché qualche porta resta comunque ben chiusa. Essere preti a Livorno non è la stessa cosa di Verona o Benevento, anche se sembra campanilismo ancestrale, neppure di Pisa.
Due Sinodi nella Diocesi hanno impegnato nella lettura della specificità pastorale delineando qualche percorso che desse più responsabilità ai laici con una ministerialità compartecipata ed uno stile sinodale. Per fare un esempio la Caritas era diventata promotrice di servizi sul territorio gestiti in autonomia da associazioni e parrocchie. Molte attività pastorali come gruppi giovanili o preparazione al matrimonio avevano assunto caratteristiche vicariali (più parrocchie vicine tra loro).
Se da noi le vocazioni non sono mai state molte questo significa che dobbiamo cercare strade altre, certo c’è una sordità alla chiamata di Dio ma forse anche qualche altra indicazione alternativa al “rastrellare” altrove (espressione di mons. Galantini nuovo segretario generale della CEI).
L’arrivo massiccio di preti forestieri (italiani, europei, africani e sudamericani), senza una storia di condivisione alle spalle e senza una adeguata preparazione o un percorso di inserimento, ha cambiato totalmente la situazione. Chi viene da fuori non è in grado di mettere in atto una pastorale autenticamente “inculturata” nel territorio ma solamente una pastorale generica e praticamente inutile alla testimonianza della fede e al delinearsi di nuove vocazioni. La paura di rimanere senza servizi religiosi ha aperto la diocesi alle più disparate sperimentazioni: comunità dai carismi particolari arrivate e sparite nel giro di poco. Anche singoli arrivati hanno mostrato segni di disagio e sono andati via lasciando nei fedeli non poche perplessità. I pochi preti che alle spalle hanno la storia della Città sono stati diluiti tanto da non aver più voce ed essere disorientati. |